IO E TE? CONTATTO

IO E TE? CONTATTO

Ti è mai capitato di mettere in discussione un rapporto d’amore o d’amicizia per delle differenze incolmabili, perché tu la pensi in un modo e l’altro in un’altra?
Ti è mai successo di essere in un gruppo che comunque condivide una tua idea e la pensa come te ma di sentirti essenzialmente solo?

Ti domando questo perchè una cosa che sto constatando, parlandone anche con i miei colleghi, e che vedo nei clienti che incontro nelle sedute di Counseling o negli allievi che formiamo al counseling presso la nostra scuola, è che nella società odierna sembra esserci una grande problematica in questo momento e cioè  quella di schierarci tra il “noi e il voi” o “l’io ed il tu” e sempre con delle linee di separazioni molto forti, o è bianco o è nero, o dentro o fuori.

Quello che si evince è che sembrerebbe  impossibile stare con le differenze. Con estrema chiarezza lo abbiamo constatato durante questi anni di Covid, dove l’esser costretti a restare a stretto contatto e fermi a casa, ha messo in discussione i rapporti, li ha fatti vacillare o addirittura finire.

L’abbiamo riscontrato anche su altre questioni come l’emigrazione, ed a oggi a questioni legate alla guerra, dove la riflessione non è una riflessione più ampia sulla guerra e su ciò che accade, ma chi abbia ragione sulla guerra per schierarsi da una parte o dall’altra!

Anche i social e i programmi televisivi sembra cavalchino l’onda del “o con o contro” ma questo non è uno dialogo rispetto alle diversità piuttosto un “dobbiamo avere le stesse idee”.

Ed in questo “IO o TE?” c’è tutto dentro, c’è il te inteso come partner, come gruppo, come società se lo espandiamo ancor di più, e c’è il te inteso come l’ambiente che ci circonda e del quale per forza di cose siamo parte.

Insomma sembrerebbe emergere in tutta la sua forza la società dell’individualismo, fatto di competizione e di mero uso dell’ambiente.

Questo però spesso comporta un malessere diffuso: senso di solitudine, tristezza, vissuti di impotenza e di inadeguatezza, ovvero iniziamo a pensare di non aver nessun potere per relazionarci con l’ambiente. Le alternative diventano: o siamo ricchi e famosi, i primi, o altrimenti ci sentiamo inadeguati, crediamo di non poter trasformare l’ambiente e sperimentiamo vissuti legati al subire.

Quando questo subire comincia ad esser troppo, può accadere che alterniamo momenti di aggressività, di violenza verbale, esplosione di rabbia e ansia. Fino alle situazioni più estreme di isolamento. 

L’ essere umano non è fatto per isolarsi, l’essere umano è un essere relazionale!

Diversi saperi e teorie, seppur importanti e che sono il risultato culturale di un modo di guardare i problemi, tipo la scienza e tutte le sue declinazioni e i saperi che ha prodotto, esempio la medicina etc etc, ci hanno insegnato a guardare ai fenomeni in modo oggettivo, ovvero:

c’è il soggetto e poi il fuori che è qualcosa di oggettivo. Quindi iniziamo a pensare che siamo noi il problema, oppure che il problema è l’altro, il fuori. 

Negli ultimi due secoli la cultura occidentale – quella dominante – ha “perso di vista” la natura relazionale e intersoggettiva dell’essere umano. Per semplificare…

“ se mi considero io il problema, ignoro il contesto in cui mi trovo o l’ambiente in cui vivo; oppure viceversa se considero che siano gli altri il problema, nego la mia responsabilità intesa come capacità di scegliere.”

Mi spiego meglio…

Quando ad esempio ci sono dei problemi psichiatrici, ovviamente si chiede l’intervento di uno psichiatra ma molte altre volte si richiede l’intervento psichiatrico per eventi tipo l’ansia.

L’ ansia fa parte di quelle emozioni che danno tutta una serie di sintomi fisici che se esplorate e conosciute si possono gestire diversamente, e in una certa misura l’ansia è funzionale all’individuo.

Oppure pensiamo alla nostra società, la nostra società è paradossale. C’è chi non lavora e c’è chi lavora 12h al giorno e di quelli che lavorano 12h al giorno al di là della professione che svolgono, mediamente sono pressati da incombenze, procedure, protocolli cioè da una serie di questioni burocratiche alle quali devono adempiere, che significa? 

Che la nostra società sostiene fenomeni come l’ansia (siamo sempre di corsa) e quindi forse quell’ansia lì va esplorata di più in riferimento al proprio ambiente piuttosto che avere un approccio come quello del risolverla attraverso l’ansiolitico, che per carità va benissimo, quella è una possibilità ma non è l’unica possibilità! 

Ora! Se prendiamo in considerazione queste tematiche con il Counseling, ci renderemo conto che si aprono diversi scenari.

“Il Counseling è una grossa opportunità.”

In che senso?

Nel senso che l’approccio che il counseling ha è un approccio multidisciplinare, ovvero è un intervento che prende in considerazione diverse discipline. Ha uno sguardo aperto e curioso, utilizza diverse lenti per incontrare i propri clienti, a partire dal lavoro di consapevolezza e di profondo ascolto che il counselor ha imparato a fare su di sé e che continua a fare anche da professionista. 

Esistono poi diverse scuole che formano in Counseling che utilizzano diverse tecniche e metodi che spaziano fra quelle artistiche, filosofiche, a quelle più legate al corpo o alle meditazioni etc..

Un orientamento – che in realtà è più un modo di vivere – che ti vorrei menzionare è “l’Approccio della Gestalt”.

La Gestalt ha una sua radice filosofica fenomenologica esistenziale, ed il suo approccio è quello di facilitare la consapelvolezza degli individui sostenendoli a definire le proprie esperienze ed a ricercare in modo creativo le soluzioni.

Come?

Attraverso la dimensione temporale che è quella del qui e ora e sul modo in cui il cliente si relaziona con il counselor, cioè come co-costruiamo insieme l’esperienza, a partire dal problema preso in considerazione. La Gestalt lavora sul ciclo di contatto, mettendo in luce come l’individuo vive l’esperienza e soprattutto come la co-costruisce.

Vuol dire che la Gestalt pensa che ogni individuo ha il potere di influenzare l’ambiente e di essere influenzato dallo stesso. Ogni individuo può essere compreso solo all’interno del suo ambiente.

“Meno fiducia abbiamo in noi stessi, meno siamo in contatto con noi stessi e con il mondo, e più vogliamo controllare”
F.Perls
(La terapia Gestaltica, parola per parola)

Ognuno di noi influenza l’ambiente ed è influenzato dallo stesso, per esempio se ti metti a piangere in una stanza con altre persone, le medesime persone cominceranno a guardarti, ciò sta a significare che stai influenzando l’ambiente e l’ambiente sta reagendo e la situazione inizierà a modificarsi.

Bene! Il Counselor si presta a questo, a fare un lavoro insieme al cliente appunto perché diventi consapevole di come si muove verso l’ambiente e di come si fa influenzare. 

Attraverso che cosa?

Attraverso l’esplorazione dell’intero della persona, perché una persona non ha un corpo, ma è corpo. E quindi, quando parliamo di qualcosa, se comincio a mordicchiarmi una pellicina cosa mi sta succedendo? Le mie parole sono in contatto con il mio corpo oppure no? Quello che mi sta accadendo in che modo riguarda anche chi ho di fronte, in questo caso il counselor?

A volte noi diciamo delle cose ma il nostro corpo è come se ne esprimesse altre. Quindi andare ad esplorare questa dimensione corporea permette alla persona di essere maggiormente consapevole e così anche per quanto riguarda le emozioni che hanno sede nel corpo, i pensieri e le sensazioni. 

Sono tutti elementi che funzionano in un modo correlato, perché noi siamo un insieme e siamo sempre collegati all’ambiente. Noi siamo parte di quell’ambiente!

Perciò tornando al titolo “Io o Te? Il Te è inteso come l’ambiente, come ciò che ci circonda ed è al di fuori di noi stessi, ma di cui ne siamo parte! In questo senso possiamo quindi scoprire che non c’è una separazione, non può esistere.

PRATICA

Fra gli esempi da poter metter in pratica e sperimentare quanto sopra citato troviamo “l’iniziare a sentirsi” cioè prendersi un po’ di tempo per ascoltarsi, senza giudizio, come stai respirando? Se hai un respiro lento, affannato , se hai un respiro che arriva fino alla pancia, se quando espiri riesci a mandare fuori tanta aria o se l’aria è trattenuta, come se ne avessi poca.

Il respiro è il primo e più evidente contatto con l’ambiente: l’aria è fuori, la faccio entrare dalle narici e poi attraverso l’espirazione esce da me con parti di me. Questo processo di scambio che è la respirazione, è spontaneo, fisiologico. Poi in base alle esperienze che viviamo si modifica.

Un altro esempio che utilizziamo nella nostra scuola con gli allievi, è durante la formazione di counseling. Alcuni week-end sono residenziali, al fine di sostenere la vita comunitaria e le difficoltà che questa può fare emergere. Il rimando che diamo agli allievi è di prendersi cura del luogo, cucinare, pulire etc..questo rimando viene offerto non certo per una questione di rispetto o di buona educazione, quanto piuttosto per sostenere il contatto con l’ambiente.

Per fare esperienza che nel momento in cui mi prendo cura dell’ambiente  sto già prendendomi cura di me, in quanto io sono parte di esso!

Dr.ssa Nicole Bosco
Presidente e Direttrice didattica della Scuola Gestalt di Torino Counseling