rubrica: Comunicazioni

Dal 28 gennaio 2023 – TRE PASSI nelle NEUROSCIENZE – Online – Insight Scuola di Counseling a mediazione corporea – Milano

25 Gennaio 2023

Comunicazioni

Info: info@insighformazione.it – 327.6828931 WA

 

“ESSERE” artefici di un mondo nuovo

12 Gennaio 2023

Comunicazioni, News

Ti è mai capitato nell’arco della giornata di fare delle considerazioni?

 Di fermarti a riflettere su dove stia andando il Mondo e vederlo inesorabilmente andare a rotoli?

Sembra anche a te che i valori, i veri valori stiano venendo meno?

SI…

Ebbene Noi counselor abbiamo la responsabilità di metterci in gioco, attivando le ns competenze personali e professionali affinché si possa arginare la decadenza dei costumi sociali.

Il primo sguardo dovremmo volgerlo verso “Noi Stessi”,

La domanda che dovemmo porci è:

Sono soddisfatto della mia vita?

 

Sono felice di essere messo in fila da comportamenti sociali che non mi appartengono?

E che vanno a reprimere la libertà individuale?

Non permettendo il libero arbitrio?

Fare del bene ti fa bene?

Ora, se stai leggendo ed abbiamo catturato la tua attenzione è perché hai la stessa nostra sensibilità e stai condividendo ciò che stiamo cercando di comunicare.

Questo fa di te una persona con dei sani principi ed alla quale queste tematiche toccano particolarmente.

E se ti stai rendendo conto che sei venuto meno ad alcuni di questi valori è semplicemente perché la vita quotidiana ti ha distratto, ti ha inglobato.

Ma non c’è nessun problema, sappi che  li hai ancora dentro di te.

Sono solo coperti da una fitta coltre di neve….

Bene! Noi sciogliamo quella neve.

Il Counseling ha come obiettivo di sciogliere proprio quella neve e far riemergere quei valori sopiti da tempo…..

Quindi essere artefici di un mondo nuovo significa questo, porsi le giuste domande e trovare le adeguate risposte 

E questo può farlo il counseling come  condizione di vita

Noi possiamo essere gli artefici di un mondo nuovo

Questa è la Mission di S.I.Co.

Gigliola Crocetti

 

Il Counseling: la chiave per procedere in modo più consapevole, sereno e autonomo nella propria vita

22 Dicembre 2022

Comunicazioni, News

Ti è mai capitato di pensare all’interno ad esempio del tuo contesto familiare di non avere una comunicazione abbastanza efficace con i tuoi familiari, con con le persone che ami?
O magari di non essere abbastanza valorizzato all’interno del contesto lavorativo?
Questo probabilmente perché non c’è una comunicazione diretta, empatica!

La Valorizzazione

Si perché tutto ciò che tende a valorizzazione una persona farà sì che la medesima poi sarà sicuramente un essere umano migliore.

Ed una persona con una maggiore fiducia in se stessa sicuramente si porrà nel mondo in tutte le proprie situazioni di vita in un modo completamente diverso.

Essa(la persona)inoltre, andrà di conseguenza ad affrontare parti più scomode di sé e in un modo più diretto quindi senza averne paura.

Quelle parti di sé che invece possono essere assolutamente costruttive per i cambiamenti o per risolvere la crisi.

Cioè quando si vanno ad affrontare determinate situazioni particolari di vita, quel qualcosa che ci può mettere in difficoltà o creare sofferenza, è proprio lì allora, in quel momento che restiamo in contatto con noi stessi e cercheremo di ascoltare nel profondo che cosa sta accadendo.

Che significa?

Significa che andremo a sviluppare un ascolto, un’osservazione non solo di quello che accade al nostro corpo ma anche ai nostri pensieri e questo è molto importante perché siamo noi gli artefici della nostra realtà.

E quindi…

Se noi riuscissimo ad avere un pensiero che possa cambiare anche le nostre azioni e mutare i nostri comportamenti, sicuramente renderemmo più facile quell’avviarsi verso ciò che Carl Rogers il padre fondatore del Counseling chiama “Una vita piena”, che poi è la vita ricca piena di soddisfazioni di serenità di concretezza.

Il tutto appunto se riusciamo ad ascoltare noi stessi e gli altri

Si, non potrà mai essere un binario con una sola direzione, perchè siamo esseri umani e siamo esseri sociali.
Nasciamo come esseri sociali e quindi ci relazioneremo in un contesto e non dobbiamo mai dare per scontato nulla; cioè non dando mai per scontato di essere compresi esattamente così per quello che noi vogliamo dimostrare di essere ma sempre mettersi nella posizione di comprendere l’altro.

Qual è il suo vissuto?
In che modo sta interpretando quello che io sto raccontando di me stesso?

Perché quando noi ci relazioniamo con una persona andiamo a mostrare una parte di noi ed in quello specifico momento, in quello specifico contesto, potrebbe non essere compresa.

Si perchè chi abbiamo di fronte, in quel momento potrebbe avere la propria realtà, il proprio momento particolare e quindi con tutta la nostra buona volontà nel voler mostrare una parte di noi in maniera più possibile congruente, dall’altra parte può essere anche accolta in un modo diverso.

Quindi a che cosa serve la comprensione di se stessi e dell’altro? Serve proprio a cercare di entrare, in quella che poi è essenziale anche in un contesto di counseling, in quel rapporto empatico che è estremamente funzionale nella comprensione dei sentimenti e delle sensazioni di se stessi e nell’altro.

E questo è proprio ciò che il Counselor cerca di attuare e di trasferire al cliente. Una tecnica di vita e di comportamento che tendiamo a emanare esattamente perchè spesso e volentieri, le persone inconsciamente o consciamente non sono in questa condizione, non sono nella condizione di comportarsi in questo modalità.

Qual è la problematica

La problematica è che questa società,definita 4.0, estremamente tecnologica e veloce, non ci da il tempo! Sia a livello comportamentale ed emozionale ma anche a quello delle reazioni fisiche.

Non abbiamo il tempo di adattarci ad un mondo così veloce così connesso con le problematiche poi legate alla connessione e quindi più distanze nei rapporti, meno vicinanza umana.

Considera che sono addirittura nate relazioni su Internet dove le persone non si sono mai neanche incontrate. Quindi parliamo di un mondo che ad oggi, è poco abituato a relazionarsi con l’altro essere umano in una maniera più diretta più fisica più empatica ma sempre più con uno schermo che è come una sorta di filtro delle emozioni.

Quindi un po questo, un po anche per il versante economico che ci porta a fare magari più lavori contemporaneamente, un po quell’insicurezza riguardante il futuro, comportano e portano appunto ad una forma di insicurezza sulle proprie capacità.

Perché a volte ci si rende conto che non si riesce a stare al passo.

Perché se lavori tutto il giorno magari non riesci a stare in famiglia ad avere anche il tempo e la possibilità di relazionarti con i tuoi familiari o i genitori che non hanno spesso il tempo di seguire da vicino ai figli…

E quando ti occupi troppo del dover fare, trascuri il saper essere!

E questa condizione purtroppo ha reso l’essere umano sempre più veloce nelle sue reazioni di osservazione dell’altro; è molto più facile partire con un giudizio sull’altra persona veloce e immediato, istintivo, piuttosto che andare a comprendere che cosa ha fatto sì che l’altra persona avesse un determinato comportamento.

Il Counseling cosa fa?

Accompagna la persona ad una maggiore osservazione dei propri comportamenti del proprio sentire degli eventi della vita; è un’osservazione anche degli altri quindi, esisto io ma esisto io in quanto in relazione con un’altro essere umano.

E’ inevitabile entrare in comunicazione, in relazione con un’altro essere umano. Questi sono concetti di cui se ne parlava già  2.500 anni fa. La filosofia che l’essere umano ha dentro di sé insita una propria intelligenza, come se ci fosse una propria capacità di autogestirsi autocurarsi e conoscere se stesso fino a fondo e in quanto facente parte di un universo strettamente collegato ad esso.

Ma aimè, come dicevamo poc’anzi, tutta questa velocità, questo non aver tempo ci porta di conseguenza a non avere tempo per noi stessi! Ora, io non demonizzo il progresso e la digitalizzazione quando servono a facilitare la nostra vita, sostengo che sia necessario contemporaneamente tornare a dare valore a tutte quelle attitudini preziose tipicamente umane: emozionarsi, viversi, riconoscere i propri talenti e valori anche se non condivisi sul web.

Secondo me bisognerebbe fare un piccolo passo indietro e questo è quello che già stanno facendo in Cina e Giappone con dei progetti riguardanti la “Società 5.0”, progetti dove si sono resi conto che al centro deve esserci l’essere umano.

E come dicevo qualche riga sopra, il Counseling ci aiuta appunto a riconoscere i punti di forza e migliora le relazioni grazie ad una comunicazione più efficace. Aiuta a raggiungere i nostri obiettivi ma è importante nel counseling il percorso più che arrivare esattamente all’obiettivo finale.

Il Counseling aiuta a conoscersi megli, a procedere in modo più autonomo e ad alimentare un benessere generale facendo chiarezza, grande chiarezza su modalità comportamentali.

E grazie a questa chiarezza affrontare dei passaggi importanti di noi stessi.

Sabrina Ciccioriccio
Professional Counselor a indirizzo Psicosomatico Integrato e a Mediazione Artistica e Filosofica – Iscritta S.I.Co.

 

IL COUNSELING NEI MOMENTI DI LAVORO DELLA VITA

13 Dicembre 2022

Comunicazioni, News

Hai mai vissuto momenti di spaesamento lavorativo?

Hai mai vissuto momenti di incertezza lavorativa?

Queste domande che ti rivolgo e sulle quali vorrei tu ponessi la tua attenzione, riguardano sia la fase iniziale e cioè quando ti sei o ti stai affacciando al mondo lavorativo, e sia se ti siano o ti stanno accadendo durante la fase di vita del tuo lavoro.

E ti faccio queste domande perché le difficoltà che s’incontrano e all’inizio e durante e alla fine del ciclo lavorativo possono essere molteplici.
Queste problematiche spesso e volentieri derivano dalla difficoltà a far coincidere l’immagine che abbiamo di noi con l’immagine professionale
che sono in realtà in una stretta interdipendenza, una reciproca costruzione.

Cioè tutte e due le componenti a differenza di quanto si possa pensare s’intrecciano e si contaminano e vanno a formarci e plasmarci durante il nostro percorso di vita e una è strettamente correlata all’altra. 

Ora! Se fra l’immagine che abbiamo di noi stessi e l’attività lavorativa c’è una sana reciproca costruzione e cioè ci piace fare ciò che facciamo e ci eleva, allora tutto e tutta la nostra vita procederà da pari passi ed in maniera sana.

Ma quando c’è troppa differenza, non coerenza, si generano situazioni potenzialmente distruttive.

Ad esempio nello sciogliere ed orientarsi verso l’attività lavorativa bisogna sapere chi si è ed in genere questo del che si è, è una domanda che raramente viene fatta ai giovani. Spesso gli si dice “che vuoi fare” quasi mai gli si chiede “chi vuoi essere” in realtà è necessario conoscersi per sapere a che tipo di attività è bene poi rivolgersi.

Questo soprattutto nella giovinezza non è ben chiaro, proprio perché siamo nella fase di costruzione di una propria identità, quello che Carl Gustav Jung chiamava “Il principio di Individuazione”. 

Bene, in questo il Counseling fa proprio al caso nostro!
L’individuazione del “Chi si è” è esattamente uno dei ruoli fondamentali del Counseling.

Quante situazioni lavorative abbiam visto tipo fenomeni di Mobbing, i conflitti con i colleghi…Ecco in queste situazioni, se uno è sicuro di sé, se uno sa chi è, sicuramente riesce a rimanere centrato e risoluto anche davanti a simil problematiche.

Quindi si il Counseling, fa decisamente al caso nostro perché tramite una più chiara idea di noi stessi, dei nostri valori, delle nostre aspirazioni come individui avremo anche una miglior vita lavorativa.

Un altro momento assolutamente critico è l’uscita del lavoro.

Si sa che chi va in pensione, non sa più che fare, deve reinventarsi. Lì è praticamente necessaria una funzione di recupero della propria identità che spesso in una vita lavorativa viene dispersa. Ci si identifica nel lavoro che svolgiamo e quando è finito ci si può sentire persi. 

Figuriamoci poi quando l’uscita dal lavoro non è fisiologica come nel caso del pensionamento, li si sa che si va in pensione e stop ma quando è “patologica” come nel caso del licenziamento o ancora peggio del fallimento e proprio lì che ci si sente distrutti e tante volte questo comporta conseguenze estreme.

Maggior consapevolezza e conoscenza di noi stessi aiuta a passare ed attraversare la vita del lavoro ed è fondamentale per questo.

Tutte le altre forme che normalmente vengono messe in atto per aiutare, aiutano cercano di aiutare dando dei consigli su che fare, o magari spiegando cosa bisogna fare o non fare ma non intervengono su “Chi essere”, ma solo su cosa fare.

In questi momenti il ruolo del Counselor può essere veramente fondamentale, e non voglio esagerare, può veramente salvare la vita o comunque può aiutare ad avere una vita lavorativa sana e proficua.

Edmondo Cesarini

 

SICo Lazio – Apericena di Venerdi 2 dicembre 2022

3 Dicembre 2022

Comunicazioni

 

SE IL COUNSELING HA UN CUORE

28 Novembre 2022

Comunicazioni, News

 

Se il counseling ha un cuore, il suo cuore è il problem solving. Scrive il filosofo Karl Popper, nel suo scritto, Tre saggi sulla mente umana:

Tutti gli esseri viventi, piante, animali e uomini, sono solutori di problemi. Essi sono impegnati, giorno e notte, nella soluzione di innumerevoli problemi. Ovviamente essi non sono consapevoli di ciò, e neppur l’uomo lo è sempre. Tutti questi problemi vanno nella stessa direzione: essi sono tentativi di anticipare il futuro e di migliorare le prospettive degli organismi anticipando bisogni futuri o eventi minacciosi.

Due elementi sono importanti in questa riflessione:

Primo, che la questione della soluzione dei problemi non ha confini nell’universo dei viventi, e si pone senza distinzione a tutti essi: vegetali e animali di qualsiasi ordine e livello evolutivo.

Secondo, che essa ha una ragione per esistere: vivere significa essere organismi viaggiatori lungo una traiettoria in movimento nel senso del tempo, dal presente verso il futuro.

Tutto ciò che vive per il fatto che continua a vivere è un problema risolto. Per il fatto di appartenere a una realtà in movimento, deve risolvere sempre nuovi problemi. Nella sua struttura una parte integrante di essa è la risoluzione dei problemi. Noi siamo olistici, unitari e interconnessi, sicché ogni parte di noi si interroga reciprocamente con le altre. Noi siamo sovradeterminati: abbiamo diversi livelli dell’essere e perciò diversi livelli di problemi, sia come ostacolo sia come conquista. 

È questo il fondamento per cui la civiltà umana ha inventato quelle che noi chiamiamo discipline della cultura e del sapere: dalla scienza all’arte, dalla poesia alla tecnologia. Ognuna di esse ha risolto problemi del nostro stare al mondo, del nostro muoversi nel mondo, secondo bisogni e desideri di specie.

La ventura del nostro essere individui immersi nella microfisica della quotidianità è che assai spesso dobbiamo risolvere problemi a un livello indeterministico, ovvero nella frazione corpuscolare della quotidianità, nella quale non sempre siamo in grado di misurarne la valenza ondulatoria, la dimensione transfinita.

Ed è qui che ci occorre il counseling, come metodologia della soluzione dei problemi della umana contingenza, ma non a caso né in modo spontaneistico, bensì facendo tesoro della metodologia del problem solving delle innumerevoli discipline della nostra evoluzione culturale. 

Perché la mente umana ha scoperto, messo a punto modalità di problem solving con la biologia e con la letteratura (non nel racconto ma nel creare racconto), con la fisica e con la filosofia, con l’arte e con la tecnologia, con la matematica e con la musica, con la guerra e con la produzione di beni.

Ritengo che il counseling possa percorrere tutti questi sentieri per tradurre nel linguaggio che è suo proprio, il quotidiano, il suo lavoro di problem solving. 

Tra i frammenti dell’antico poeta greco Archiloco c’è un verso che dice “La volpe sa molte cose, ma il riccio ne sa una grande”. Esiste infatti un gran divario tra coloro (come il riccio), che riferiscono tutto a una visione centrale, a un sistema più o meno coerente o articolato con regole che li guidano a capire, a pensare, a sentire – un principio ispiratore, unico e universale, il solo che può dare significato a tutto ciò che essi sono e dicono, e coloro, dall’altra parte, (come la volpe) che perseguono molti fini, spesso disgiunti e contradditori, magari collegati soltanto energicamente, di fatto, per qualche ragione psicologica o fisiologica, non unificati da un principio morale o estetico.

Insomma, il counseling può essere volpe, o almeno è tale il mio augurio.

Mario Papadia,
Accademia per la Riprogrammazione, Roma

 

Counseling Artistico

15 Novembre 2022

Comunicazioni, News

Perché introdurre le arti visive in una scuola di counseling? 

Le arti visive offrono spunti di riflessione su molte tematiche relazionali, rispetto alle domande esistenziali che l’uomo si pone. Questo riguarda sia il fare artistico sia la conoscenza delle arti visive, attraverso la storia e le proposte museali delle arti. 

L’arte agisce a livello simbolico permettendo di trasformare la conoscenza e l’istinto in forme creative, capaci di coinvolgere la dimensione sensoriale, emotiva e intellettuale, fornendo degli strumenti per comprendere e per capire contenuti interiori.

Le forme artistiche più riuscite hanno la capacità di affrontare tematiche universali nelle quali l’individuo può riconoscere aspetti della propria personalità ed elaborarli in modo cosciente e creativo. 

Le metodologie del counseling coordinano questi aspetti attraverso un insieme di abilità e atteggiamenti e tecniche che mediante l’empatia, l’ascolto, l’apertura alla riflessione su di sé, sugli altri e sulla vita, agevolano le persone ad integrare processi di maggiore consapevolezza.  

Ma è nitido questo concetto?
C’è chiarezza nel panorama del counseling su cosa si intenda per “competenza artistica” ?

Per competenze artistiche non si intendono generiche attitudini creative e bisogni espressivi, ma un’insieme di conoscenze ben definibili basate sullo studio e sulla pratica di tecniche da acquisire mediante una specifica formazione in scuole d’arte accademie o corsi privati.

L’approccio didattico da adottare, pur accogliendo spunti istintuali e sperimentazioni libere di forme e materiali, non può basarsi su semplici improvvisazioni e sfoghi espressivi.

La competenza artistica richiede l’impiego di metodologie legate alla storia delle pratiche, delle teorie artistiche e della grammatica visiva.

Alla pari di un qualsiasi altro linguaggio ( psicologico, filosofico, scientifico ), che voglia essere trasmesso e compreso a partire dalle sue basi antropologiche. 

Questo argomento interessa perché aiuta a distinguere i vari approcci in cui si affiancano le arti visive, i musei e la creatività al mondo del counseling. Bisogna poter comprendere la differenza tra creatività, espressività e arte alla pari di come distinguere la differenza tra le figure e le competenze dello psicoterapeuta, dello psicologo, del counselor e del coach.

La creatività agisce a diversi livelli, parte do da un livello di base comune a tutti gli esseri umani, per arrivare ad un livello più complesso dell’attività artistica. Fin dall’infanzia, tutti impariamo ad esprimerci con diversi linguaggi e siamo dotati di potenzialità creative ( e qui nasce la confusione ), intendendo la creatività come la capacità di inventare risposte diverse a uno stesso problema o tema. 

Nell’arte, però, la creatività diventa un processo complesso e costante di percezione e rielaborazione attraverso un uso pertinente dei codici espressivi: pittorici, grafici, fotografici, poetici, letterari, audiovisivi, musicali e performativi, con le relative connessioni.

Non è sufficiente usare alcune modalità espressive per entrare nel merito dei processi creativi che stanno alla base della formazione in counseling artistico.

L’approccio del counseling artistico è differente e più complesso di una pratica espressiva perché il linguaggio artistico è fondante, e non occasionale o periferico. 

Questa differenza spesso può generare un problema culturale e di confusione intellettuale. 

Oppure di origine strumentale dove, in  sintesi, fa comodo così, per motivazioni da collegare alla fatica di fare ricerca seria e approfondita, alle ideologie, all’economia. 

La stessa cosa riguarda il mondo del counseling: quando non c’è una regolamentazione basata sulla conoscenza e sulle regole il rischio è la confusione. Ogni linguaggio ha in fondo le stesse problematiche. Una corretta formazione artistica richiede di aver acquisito esperienze in campo artistico sia di ordine teorico che pratico.

Nelle competenze che bisogna integrare  troviamo il “ saper “ avvicinarsi ai beni culturali andando oltre la competenza puramente nozionistica dell’arte. Come già detto, l’arte, è un linguaggio che va decodificato per poter essere usato. 

Come per il counseling, anche per l’arte è basilare partire dall’alfabetizzazione.Il rischio è di insegnare agli altri una lingua che neanche conosciamo. Ed è difficile filtrare questa mancanza di conoscenza. Il linguaggio visivo richiede di essere riconosciuto attraverso elementi storici, culturali, pedagogici, psicologici, antropologici, sociali e intellettuali. 

Come viene affrontato dalle altre discipline?
Non si può sapere nello specifico.

E’ che in quello che si vede, non si legge spesso  l’alfabeto appena descritto.

E’ come se in un incontro di counseling venissero non prese in considerazione le competenze di base quali: ascolto attivo , empatia, presenza. 

Che cosa ne sarebbe del colloquio?
Si potrebbe ancora chiamare colloquio di counseling?

Qui si tratta di comprendere cosa si sta facendo dando la giusta identità ai processi d’apprendimento. Le competenze acquisite di lettura del linguaggio visivo devono essere congiunte ad abilità specifiche in chiave relazionale.

Il formatore deve aver maturato una visione bifocale: da una parte essere a conoscenza del linguaggio visivo e del processo creativo sia in termini teorici che pratici e dall’altra  ( a partire dal linguaggio artistico o da una tematica relazionale) guidare gli apprendimenti, le attitudini personali, incanalare le riflessioni, favorire gli aspetti costruttivi e la coesione collettiva. 

In questa prospettiva il formatore agisce come un regista orientando l’intero processo attraverso una visione bifocale sia relazionale che creativa.L’azione e la pratica, artistica e relazionale, diventano parte integrante dell’apprendimento in un gioco di alternanze e di analogie.

In conclusione il problema si risolve “ superando gli stereotipi figurativi e  imparando a comprendere quello che si osserva conoscendo le immagini e la loro storia. Si risolve adottando dei criteri di base per le scelte didattiche che tengano in considerazione gli aspetti basilari del counseling e quelli del fare artistico. 

Si cerca di risolvere spiegando la differenza tra orientamenti, formazione e professione. 

Tra l’utilizzo della creatività in pisicoterapia, in arte terapia, nel counseling espressivo o art-counseling dove, la creatività stessa, viene generalmente modulata a seconda della formazione pregressa dei professionisti che la utilizzano. Si cerca di risolvere spiegando che la creatività ha diversi livelli di approfondimento.

Starà alla persona, dopo aver compreso, scegliere il livello di approfondimento più adatto alla propria professionalità o alla propria identità. L’aspetto basilare rimane: deontologicamente passare tutte le informazioni nel rispetto di ogni professionalità coinvolta e di una cultura artistica millenaria. 

Dott.ssa Stefania Como 
Direttrice scuola in counseling artistico di Torino – Centro Studi EducArte

 

Ghiande, Querce e Counseling

10 Ottobre 2022

Comunicazioni, News

“Passione per la vita”,  “amore per la vita”, “biofilia”

Negli anni cinquanta Erich Fromm, sociologo e psicoterapeuta, descrive con queste parole la tendenza ad essere attratti da tutto ciò che è vivo e vitale.

Trent’anni dopo, Edward O. Wilson, biologo e naturalista,  rileva nell’essere umano la tendenza innata a concentrare il proprio interesse sulla vita e sui processi vitali; nel suo libro Biophilia descrive i legami che gli esseri umani cercano con gli altri organismi viventi.

Prima di E.Fromm e di E.O. Wilson, Carl R. Rogers scrisse di un principio attualizzante, una tendenza innata dell’essere umano a orientarsi selettivamente e in modo diretto verso il completamento e la realizzazione delle proprie potenzialità.

Come un seme che germoglia e, orientandosi tra le zolle, va alla ricerca della luce e dell’aria necessarie al proprio sviluppo, anche l’individuo ha bisogno di humus nutriente, di acqua, di aria e di raggi di sole: un ambiente accogliente e in grado di favorire la crescita attualizzante.

Tutto questo, in sintesi, è parte fondamentale dell’approccio chiamato Counseling, l’arte della relazione d’aiuto, del quale lo psicoterapeuta americano Carl Rasmus Rogers, è considerato genitore amorevole e fecondo.

“Una delle funzioni del Counseling, consiste nell’aiutare il cliente a trovare quella che Aristotele chiamava entelechia, l’unica forma, nella ghianda, che la destina a essere quercia”.   Rollo May

Anche per Rollo May, psicoterapeuta e fondatore insieme a Carl R. Rogers e Abraham Maslow, della Psicologia Umanistico Esistenziale, l’aspetto di biofilia ha un ruolo chiave nel percorso di consapevolezza e crescita interiore possibile grazie al Counseling.

Rogers, May, Maslow  individuarono nel bisogno di crescita e di affermazione, le principali spinte di ogni comportamento umano e nel senso di autostima il presupposto fondamentale dell’equilibrio personale; misero inoltre a fuoco l’importanza delle dinamiche emozionali, cioè del sentire, quella che qualche decennio dopo fu chiamata Intelligenza Emotiva, come caratteristiche significative per un’esistenza umana piena e vitale. Molta influenza la ebbe, inoltre, il pensiero del filosofo Ralph Waldo Emerson.

Coltivi fiori o piante, sul tuo terrazzo o nel giardino?
Se comperi bulbi di tulipani, sono quei fiori che ti aspetti di veder crescere, non le rose.

 Forse noi esseri umani, nella nostra complessità e ricchezza, abbiamo un intero negozio di sementi nel profondo della nostra interiorità, possibilità di svilupparci e di fiorire in modi diversi.
C’è una fioritura migliore di un’altra?

L’entelechia Aristotelica si basa sulla tensione di un organismo a realizzare se stesso, attraverso la consapevolezza, l’espressione, la realizzazione del proprio se profondo e unico. La risposta a C’è una fioritura migliore di un’altra? sta nella soddisfazione, o nell’insoddisfazione, percepita nel processo di realizzazione di se stessi.

Dalle metafore e dalle teorie fino alla vita concreta. Quante, tra le persone che conosci, compresa/o te stessa/o, parenti, amici, conoscenti, si dicono soddisfatti di se stessi, della vita che conducono, delle relazioni che hanno, dei risultati che ottengono?

Alcuni, non molti, questo è un fatto. E’ più frequente l’insoddisfazione, la frustrazione, a volte anche la sofferenza, per le proprie esistenze che scorrono, giorno dopo giorno, con una vaga percezione di qualche cosa di più soddisfacente possibile e la difficoltà, o l’impossibilità, di manifestarlo, di fare scelte che lo rendano possibile.

La spinta interiore del “seme” autentico preme, cerca la strada per uscire alla luce, ma a volte questo potenziale è ostacolato da innumerevoli fattori educativi, culturali, sociali, che coinvolgono pensieri, emozioni, azioni/scelte. 

Siamo vittime di tutto questo? Siamo esseri umani che fanno ciò che possono e che hanno bisogno di sicurezze, anche illusorie, quindi tendiamo ad adeguarci e ne paghiamo il prezzo.

Entelechiaen + telos, che in greco significano dentro e scopo, quindi una finalità interiore.

Bisogna scendere dalla testa, non rispondere sempre e solo al “canto delle sirene” della mente, e incamminarsi nel profondo di se, per avvicinarsi al proprio “seme” autentico, alle risorse per nutrirlo e aprire la strada affinché possa venire alla luce.

Dov’è quel luogo profondo, dove cercare, come farlo?

E’ necessaria l’analisi, la psicoterapia, l’indagine dettagliata sulla propria biografia?
Serve capire perché, cos’è successo, quali relazioni primarie hanno condizionato, quali traumi hanno impedito al principio attualizzante di avere la sua naturale espressione?

Howard Gardner, psicologo americano, ha aperto l’affascinante visione dell’essere umano dotato non di una ma di una molteplicità d’intelligenze; ne definisce molte: logico-matematica, linguistica, spaziale, musicale, cinestesica, interpersonale, intrapersonale, naturalistica, esistenziale, sintetica, creativa, etica.

Se non bastassero le risorse evidenziate dalla prospettiva di Gardner, si aggiunge anche altro al paniere delle possibilità: a John Mayer psicologo statunitense, Peter Salovay psicologo sociale statunitense, Daniel Goleman, psicologo statunitense, dobbiamo i principi dell’Intelligenza Emotiva.

Eugene T. Gendlin, psicoterapeuta americano, ha lavorato a lungo proprio con Carl R. Rogers sull’importanza dell’orientamento dell’attenzione al sentire, nei percorsi di consapevolezza. Le Neuroscienze consentono un’ulteriore ampiezza di visione e di opportunità, offrendo pragmatismo a molte teorie, grazie alla ricerca scientifica, e radicando le pratiche funzionali nella concretezza del corpo.

Questa è la via, e il territorio stesso, del viaggio nel profondo: il corpo. Un mondo complesso e creativo da esplorare non per capire ma per conoscere e conoscersi, con un se radicato nel sentire, oltre che nel pensare, con attitudine curiosa e gentile, con strumenti pratici per orientarsi e gestire, per lasciare spazio ai naturali meccanismi di costante cambiamento propri dell’impermanenza della Vita.

Il Counseling, l’approccio di accompagnamento alla scoperta delle risorse interiori dell’individuo, affinché siano al servizio della realizzazione di se, non si occupa di problemi, né di situazioni problematiche, né tanto meno di disturbi o di malattie, tutto questo è di competenza di altre professioni.

Nel Counseling, con il Counseling, ci si occupa delle persone, con ascolto profondo, accoglienza, empatia e comprensione; ci si prende cura del modo di stare in relazione e della qualità del comunicare, con competenza e con rispetto.

Si creano condizioni e interazioni che favoriscano l’espressione del principio attualizzante, dando fiducia all’Anima Mundi, la spinta vitale dei singoli organismi uniti in un solo organismo vivente, l’Anima Universale, nella quale l’entelechia entra in contatto autentico e manifesta la sua finalità interiore.

Un’esperienza intima, quella di essere a fianco delle persone che scelgono questa via, che si mettono in gioco, che attingono al proprio Coraggio. Essere Counselor richiede vocazione, aver incontrato a propria volta il proprio daimon, averlo riconosciuto, accolto, ascoltato e onorato.

Quarant’anni fa, in Italia, il Counseling era pressoché sconosciuto, mentre negli USA e in altri paesi di cultura anglosassone era diffuso già da decenni; tra la fine degli anni ottanta e l’inizio degli anni novanta è iniziata la diffusione anche nel nostro paese, S.I.Co. Società Italiana di Counseling nacque proprio in quel periodo.

All’arrivo del nuovo millennio, nel mondo e in Italia, iniziano a manifestarsi i primi effetti delle varie crisi economiche che si sono susseguite e che non sono ancora finite. Da qui ebbe inizio gradatamente un fenomeno ben visibile alla scuole di Counseling pioniere che, come Insight, allora esistevano già da due decenni: il bisogno di un’occupazione professionale alternativa in un mondo del lavoro che continuava ad attraversare difficoltà, unito, alcune volte, al daimon che spingeva verso un’espressione professionale più umana e umanistica, fece da propulsore alla maggior diffusione dell’approccio di Carl R. Rogers anche in Italia.

Fiorirono scuole, si formarono professionisti, nacquero altri enti di categoria, in un mondo nel quale, per svariati motivi, i livelli di stress e il bisogno di ben-essere emotivo diventavano sempre più elevati.

Fino ad arrivare alla pandemia Covid-19, alle problematiche di distanziamento, d’incertezza, di disorientamento e di comunicazione. In tutto questo “L’ARTE della Relazione d’Aiuto” si pone come possibilità con un alto potenziale di intervento funzionale, quando i professionisti di Counseling hanno chiare le loro competenze e il modus operandi, cioè non voler essere psicologi o psicoterapeuti senza avere una formazione specifica in quei campi, per esempio, e neppure voler essere guaritori. E’ compito delle scuole e dei docenti fornire informazioni e modelli chiari a questo proposito.

Entelechia, daimon, vocazione, parole chiave che aprono agli aspetti del mondo umanistico nel quale il Counseling affonda le sue radici

La consapevolezza della posizione privilegiata dell’uomo nel mondo della natura, egli é artefice del proprio cammino, ricerca l‘equilibrio fra istinto e ragione,  promuove armonia e bellezza, allarga con la ricerca e la formazione i propri orizzonti perché una conoscenza ampia e profonda favorisce Sapere, Saper fare, Essere.

Qualunque fiore tu sia,
 quando verrà il tuo tempo, sboccerai.
 Prima di allora, una lunga e fredda
 notte potrà passare. Anche dai sogni
 della notte trarrai forza e nutrimento.
 Perciò sii paziente verso quanto ti accade
 e curati e amati, senza paragonarti
 a voler essere un altro fiore, non esiste fiore migliore
 di quello che s’apre nella pienezza
 di ciò che è. E quando ciò avverrà,
 potrai scoprire che andavi sognando
 di essere un fiore che aveva da fiorire.
Daisaku Ikeda

Di Milena Screm, Counselor Supervisor Trainer
Presidente della scuola Insight di Milano

 

IO E TE? CONTATTO

2 Ottobre 2022

Comunicazioni, News

Ti è mai capitato di mettere in discussione un rapporto d’amore o d’amicizia per delle differenze incolmabili, perché tu la pensi in un modo e l’altro in un’altra?
Ti è mai successo di essere in un gruppo che comunque condivide una tua idea e la pensa come te ma di sentirti essenzialmente solo?

Ti domando questo perchè una cosa che sto constatando, parlandone anche con i miei colleghi, e che vedo nei clienti che incontro nelle sedute di Counseling o negli allievi che formiamo al counseling presso la nostra scuola, è che nella società odierna sembra esserci una grande problematica in questo momento e cioè  quella di schierarci tra il “noi e il voi” o “l’io ed il tu” e sempre con delle linee di separazioni molto forti, o è bianco o è nero, o dentro o fuori.

Quello che si evince è che sembrerebbe  impossibile stare con le differenze. Con estrema chiarezza lo abbiamo constatato durante questi anni di Covid, dove l’esser costretti a restare a stretto contatto e fermi a casa, ha messo in discussione i rapporti, li ha fatti vacillare o addirittura finire.

L’abbiamo riscontrato anche su altre questioni come l’emigrazione, ed a oggi a questioni legate alla guerra, dove la riflessione non è una riflessione più ampia sulla guerra e su ciò che accade, ma chi abbia ragione sulla guerra per schierarsi da una parte o dall’altra!

Anche i social e i programmi televisivi sembra cavalchino l’onda del “o con o contro” ma questo non è uno dialogo rispetto alle diversità piuttosto un “dobbiamo avere le stesse idee”.

Ed in questo “IO o TE?” c’è tutto dentro, c’è il te inteso come partner, come gruppo, come società se lo espandiamo ancor di più, e c’è il te inteso come l’ambiente che ci circonda e del quale per forza di cose siamo parte.

Insomma sembrerebbe emergere in tutta la sua forza la società dell’individualismo, fatto di competizione e di mero uso dell’ambiente.

Questo però spesso comporta un malessere diffuso: senso di solitudine, tristezza, vissuti di impotenza e di inadeguatezza, ovvero iniziamo a pensare di non aver nessun potere per relazionarci con l’ambiente. Le alternative diventano: o siamo ricchi e famosi, i primi, o altrimenti ci sentiamo inadeguati, crediamo di non poter trasformare l’ambiente e sperimentiamo vissuti legati al subire.

Quando questo subire comincia ad esser troppo, può accadere che alterniamo momenti di aggressività, di violenza verbale, esplosione di rabbia e ansia. Fino alle situazioni più estreme di isolamento. 

L’ essere umano non è fatto per isolarsi, l’essere umano è un essere relazionale!

Diversi saperi e teorie, seppur importanti e che sono il risultato culturale di un modo di guardare i problemi, tipo la scienza e tutte le sue declinazioni e i saperi che ha prodotto, esempio la medicina etc etc, ci hanno insegnato a guardare ai fenomeni in modo oggettivo, ovvero:

c’è il soggetto e poi il fuori che è qualcosa di oggettivo. Quindi iniziamo a pensare che siamo noi il problema, oppure che il problema è l’altro, il fuori. 

Negli ultimi due secoli la cultura occidentale – quella dominante – ha “perso di vista” la natura relazionale e intersoggettiva dell’essere umano. Per semplificare…

“ se mi considero io il problema, ignoro il contesto in cui mi trovo o l’ambiente in cui vivo; oppure viceversa se considero che siano gli altri il problema, nego la mia responsabilità intesa come capacità di scegliere.”

Mi spiego meglio…

Quando ad esempio ci sono dei problemi psichiatrici, ovviamente si chiede l’intervento di uno psichiatra ma molte altre volte si richiede l’intervento psichiatrico per eventi tipo l’ansia.

L’ ansia fa parte di quelle emozioni che danno tutta una serie di sintomi fisici che se esplorate e conosciute si possono gestire diversamente, e in una certa misura l’ansia è funzionale all’individuo.

Oppure pensiamo alla nostra società, la nostra società è paradossale. C’è chi non lavora e c’è chi lavora 12h al giorno e di quelli che lavorano 12h al giorno al di là della professione che svolgono, mediamente sono pressati da incombenze, procedure, protocolli cioè da una serie di questioni burocratiche alle quali devono adempiere, che significa? 

Che la nostra società sostiene fenomeni come l’ansia (siamo sempre di corsa) e quindi forse quell’ansia lì va esplorata di più in riferimento al proprio ambiente piuttosto che avere un approccio come quello del risolverla attraverso l’ansiolitico, che per carità va benissimo, quella è una possibilità ma non è l’unica possibilità! 

Ora! Se prendiamo in considerazione queste tematiche con il Counseling, ci renderemo conto che si aprono diversi scenari.

“Il Counseling è una grossa opportunità.”

In che senso?

Nel senso che l’approccio che il counseling ha è un approccio multidisciplinare, ovvero è un intervento che prende in considerazione diverse discipline. Ha uno sguardo aperto e curioso, utilizza diverse lenti per incontrare i propri clienti, a partire dal lavoro di consapevolezza e di profondo ascolto che il counselor ha imparato a fare su di sé e che continua a fare anche da professionista. 

Esistono poi diverse scuole che formano in Counseling che utilizzano diverse tecniche e metodi che spaziano fra quelle artistiche, filosofiche, a quelle più legate al corpo o alle meditazioni etc..

Un orientamento – che in realtà è più un modo di vivere – che ti vorrei menzionare è “l’Approccio della Gestalt”.

La Gestalt ha una sua radice filosofica fenomenologica esistenziale, ed il suo approccio è quello di facilitare la consapelvolezza degli individui sostenendoli a definire le proprie esperienze ed a ricercare in modo creativo le soluzioni.

Come?

Attraverso la dimensione temporale che è quella del qui e ora e sul modo in cui il cliente si relaziona con il counselor, cioè come co-costruiamo insieme l’esperienza, a partire dal problema preso in considerazione. La Gestalt lavora sul ciclo di contatto, mettendo in luce come l’individuo vive l’esperienza e soprattutto come la co-costruisce.

Vuol dire che la Gestalt pensa che ogni individuo ha il potere di influenzare l’ambiente e di essere influenzato dallo stesso. Ogni individuo può essere compreso solo all’interno del suo ambiente.

“Meno fiducia abbiamo in noi stessi, meno siamo in contatto con noi stessi e con il mondo, e più vogliamo controllare”
F.Perls
(La terapia Gestaltica, parola per parola)

Ognuno di noi influenza l’ambiente ed è influenzato dallo stesso, per esempio se ti metti a piangere in una stanza con altre persone, le medesime persone cominceranno a guardarti, ciò sta a significare che stai influenzando l’ambiente e l’ambiente sta reagendo e la situazione inizierà a modificarsi.

Bene! Il Counselor si presta a questo, a fare un lavoro insieme al cliente appunto perché diventi consapevole di come si muove verso l’ambiente e di come si fa influenzare. 

Attraverso che cosa?

Attraverso l’esplorazione dell’intero della persona, perché una persona non ha un corpo, ma è corpo. E quindi, quando parliamo di qualcosa, se comincio a mordicchiarmi una pellicina cosa mi sta succedendo? Le mie parole sono in contatto con il mio corpo oppure no? Quello che mi sta accadendo in che modo riguarda anche chi ho di fronte, in questo caso il counselor?

A volte noi diciamo delle cose ma il nostro corpo è come se ne esprimesse altre. Quindi andare ad esplorare questa dimensione corporea permette alla persona di essere maggiormente consapevole e così anche per quanto riguarda le emozioni che hanno sede nel corpo, i pensieri e le sensazioni. 

Sono tutti elementi che funzionano in un modo correlato, perché noi siamo un insieme e siamo sempre collegati all’ambiente. Noi siamo parte di quell’ambiente!

Perciò tornando al titolo “Io o Te? Il Te è inteso come l’ambiente, come ciò che ci circonda ed è al di fuori di noi stessi, ma di cui ne siamo parte! In questo senso possiamo quindi scoprire che non c’è una separazione, non può esistere.

PRATICA

Fra gli esempi da poter metter in pratica e sperimentare quanto sopra citato troviamo “l’iniziare a sentirsi” cioè prendersi un po’ di tempo per ascoltarsi, senza giudizio, come stai respirando? Se hai un respiro lento, affannato , se hai un respiro che arriva fino alla pancia, se quando espiri riesci a mandare fuori tanta aria o se l’aria è trattenuta, come se ne avessi poca.

Il respiro è il primo e più evidente contatto con l’ambiente: l’aria è fuori, la faccio entrare dalle narici e poi attraverso l’espirazione esce da me con parti di me. Questo processo di scambio che è la respirazione, è spontaneo, fisiologico. Poi in base alle esperienze che viviamo si modifica.

Un altro esempio che utilizziamo nella nostra scuola con gli allievi, è durante la formazione di counseling. Alcuni week-end sono residenziali, al fine di sostenere la vita comunitaria e le difficoltà che questa può fare emergere. Il rimando che diamo agli allievi è di prendersi cura del luogo, cucinare, pulire etc..questo rimando viene offerto non certo per una questione di rispetto o di buona educazione, quanto piuttosto per sostenere il contatto con l’ambiente.

Per fare esperienza che nel momento in cui mi prendo cura dell’ambiente  sto già prendendomi cura di me, in quanto io sono parte di esso!

Dr.ssa Nicole Bosco
Presidente e Direttrice didattica della Scuola Gestalt di Torino Counseling

 

La felicità come vitale realizzazione di sé

13 Settembre 2022

Comunicazioni, News

Oggi parliamo di Felicità

La parola felicità è stata molto abusata e lo è soprattutto oggi che la si vuole trovare a buon mercato. La formula  americana di felicità come Happiness, frutto di un certo “pensiero positivo” su cui si è prodotto molto business, nasce da una operazione di marketing  e quindi segue le leggi del mercato.

Più seriamente si pone quel movimento di pensiero economico, che seguendo le indicazioni di alcune Costituzioni, a partire dal preambolo della Costituzione francese de 1791, invece di perseguire il PIL (prodotto interno lordo)  cerca di realizzare il FIL (Felicità Interna Lorda), cioè mette la felicità tra i parametri della produttività di un paese, che qualcuno chiama anche BIL (benessere interno lordo). 

In questo contesto vorrei  parlare di FIL, nel senso della “felicità interiore lorda”, che il Counseling e il Counseling filosofico può assicurare.  

Molte sono e sono state le definizioni della felicità, anche agli antipodi, che si sono susseguite nel corso della storia della filosofia: si pensi allo Stoicismo e all’Epicureismo che rappresentano due modelli opposti per perseguire la felicità. Per quanto mi riguarda fare  del “vivere” una esistenza sensata è  l’essenza della felicità.

Questo è molto vicino al significato che i Greci, ma soprattutto la più grande etica dell’antichità, ossia l’Etica nicomachea, ha dato alla parola felicità o eudaimonia. L’etimologia dalla parola eudaimonia deriva dal greco eu ‘buono’ e daimon ‘demone’. E’ felice chi possiede un buon demone ossia una buona inclinazione nel perseguire il suo perfezionamento. L’eudaimonia non è la semplice felicità. È la felicità intesa come scopo della vita, e come  ispirazione  secondo cui  orientare la propria condotta, perciò diventa fondamento dell’Etica. 

In una interessante intervista  Luce Irigaray, che è la fondatrice del pensiero della Differenza (le filosofe contemporanee  più che dei filosofi si sono interessate di felicità e di benessere), afferma: «La felicità è molto presente nel mio lavoro. Ma giungere alla felicità non è facile. Non parlo di acquisto di oggetti e consumo. Ma alla gioia di divenire se stessi, lo sbocciare della persona.  Questa felicità corrisponde ad un dovere personale, ma anche a un dovere politico di occuparsi dell’”essere” delle persone».

La frase potrebbe costituire un Manifesto sulla felicità, perché esprime una concezione della felicità come ben-essere che non si esaurisce nell’essere, ma mette insieme essere e divenire.

Il compito del counseling filosofico è proprio quello di combattere il mal-essere a favore del ben-essere,  cosa che implica la realizzazione di una dimensione felice. Parlo di “dimensione”, quindi di un qualcosa che si protragga nel tempo, che non si esaurisca in un istante sia pure felice, di un raggiungimento di uno stato mentale emozionale e corporeo del proprio Sé, che consenta ad ogni individuo di realizzarsi pienamente e d’interagire positivamente anche contro gli imprevisti, i  colpi del destino, le conseguenze delle proprie scelte che l’esperienza di una vita pienamente vissuta  gli riserva. Per Irigaray la felicità non è il soddisfacimento del piacere, ma la ricerca del Sé e della pienezza di Sé. Questa ricerca si attua nel presente ma anche nel trascendere  i limiti del nostro  io, per accedere  alla dimensione più profonda del  Sé.  

La felicità ha a che fare con l’essere ma l’essere non è un essere statico perché s’identifica in parte con il movimento del desiderio come realizzazione del proprio demone, buon (eu) demone(daimon).

Fin quando siamo sul campo delle definizioni tutto torna, ma è sul piano delle nostre emozioni e dei nostri  reali comportamenti quotidiani che nasce il problema.

Avete mai avvertito mentre vi sentivate al colmo della felicità una sensazione negativa, un tremore dell’anima molto somigliante alla paura?

Ho infatti costatato, non solo personalmente, ma nel dialogo con persone che si sono affidate a me per loro problematiche, che mentre lo scopo di essere felici è prioritario su qualsiasi altro scopo, quando arriva il momento di essere felici  non si riesce a viverlo pienamente. C’è una vera incapacità a vivere la felicità. Pensiamo subito che chissà quanti altri disagi dobbiamo pagare per compensare questi attimi felici. 

Dove nasce la paura di essere felici? Nasce secondo me ,come molti altri nostri problemi, dalla cultura che ci viene inculcata fin dalla nascita, che determina la nostra scala valoriale e di giudizio, e permea la nostra sfera emotiva e comportamentale. La cultura del ‘900 che si protrae fino ai nostri  giorni è intrisa di pessimismo e nichilismo, dovuto agli eventi catastrofici che l’ hanno segnata, ma anche a teorie filosofiche psicologiche e, perché  no, psicoanalitiche “pessimiste”. Freud è stato un grande perché ha scoperto l’inconscio, ma questo inconscio è pieno di demoni negativi, la sua visione della società è negativa. Lo dice il titolo stesso della sua maggior opera Il disagio della civiltà, un disagio che nessuna pratica  psicoanalitica può dissolvere, perché può solo farci scegliere se dobbiamo adeguarci, arrenderci alle dinamiche della società o vogliamo starcene fuori, pagandone però il prezzo con la Follia. Ma è soprattutto la  definizione che Freud dà di felicità come pausa dal dolore, che è penetrata  nella cultura in generale, che ci fa vivere male gli attimi di felicità, dal momento che questa è intimamente connessa al dolore, essendo per definizione, solo una sua pausa.

La paura di essere felici è di ostacolo ad ogni percorso di consapevolezza, e rimuovere questa paura è il primo lavoro che un Counselor deve proporsi. E ne ha tutte le capacità per farlo, perché il counseling è lo strumento più efficace per attivare nel “cliente” le sue risorse positive.

Carl Rogers, infatti,  il padre  del counseling, sosteneva a differenza di Freud che le persone non sono in preda ad istinti irrazionali  e inconciliabili (Eros e Thanatos) ma  hanno in sé le  risorse per  autodeterminare il proprio comportamento e per migliorarlo. Tale processo è stato definito da Rogers come tendenza attualizzante  seguendo la quale le persone sane sono aperte mentalmente verso nuove esperienze, vivono liberamente ogni momento e sono in grado di perseguire i propri desideri e finalità.

Rogers dando  questa visione di fondo ha anticipato il counseling. Il counseling, infatti, è una pratica per persone sane, che hanno perso momentaneamente il proprio orientamento, senso della vita e consapevolezza di sé,  e che ricorrono ad un counselor per riacquistarle.

L’individuo possiede in se stesso le potenzialità necessarie per cambiare e per questo è il principale attore del suo percorso. Per queste ragioni, il trattamento rogersiano si definisce “centrato sul cliente” o meglio “sulla persona”.

Il counseling filosofico di Metis  è molto affine a quello rogersiano perché usa il Dialogo socratico  come “leva” per  recuperare  energie positive interiori. Con la sua Maieutica  il dialogo socratico agisce come una levatrice (ricordate che la madre di Socrate era una levatrice?),  aiuta le persone a “partorire”, a trarre fuori  dal profondo se’ le risorse  per attuare quel cambiamento che le porterà a superar gli ostacoli che interferiscono con il perfezionamento e la realizzazione di sé.

 

Io non ho denominato il Corso di Metis che proponiamo come corso di pratiche filosofiche, perché sono le tecniche del counseling più che generici esercizi filosofici, a darci la possibilità di far leva sulle energie positive del cliente, secondo quanto ci ha insegnato Rogers.

Giovanna Borrello

Già docente di Filosofia e Bioetica (Uni. Federico II-Napoli). Fondatrice della scuola di Counseling  filosofico Metis